C’è un Paese nell’Europa Meridionale, abbracciato dal mare. Terra di eroi, di emigranti, di navigatori, di poeti (e, qualche rara volta, di mascalzoni). Nel corso dei secoli era stato invaso da Goti, Arabi, Spagnoli, Francesi… Gli abitanti resistettero sempre, coraggiosi e tenaci, e intanto continuavano a coltivare viti, olivi e grano. L’unità nazionale non fu un cammino facile. Come per tanti altri popoli europei.
Nel Novecento la popolazione di questo Paese, in gran parte di contadini e braccianti poveri, viveva in un contesto arretrato che soprattutto nelle regioni del sud non lasciava intravedere prospettive di innovazione né di giustizia futura; l’emigrazione dei tanti che se ne andavano oltre Oceano era una terribile emorragia.
Poco meno di un secolo fa un colpo di stato portò alla costituzione di un regime autoritario, corporativista e repressivo, che propagandava il nazionalismo e la religione cattolica (quella maschera della religione che il dittatore intendeva mostrare). E così gli scioperi furono messi al bando, i salari dei braccianti bloccati a livelli minimi, gli operai iscritti obbligatoriamente ad associazioni controllate dai datori di lavoro; l’informazione fu sottomessa al regime mentre la repressione veniva praticata con arresti e torture da una polizia segreta feroce ed efficiente. Fu una notte lunghissima. La dittatura europea più lunga di tutte…
Un giorno, era il 25 aprile, le note di una canzone, trasmesse per radio, dettero il segnale stabilito dal movimento di resistenza per l’inizio dell’insurrezione.
Il 25 aprile 1974 fu l’alba della libertà, non solo per il popolo portoghese, che molto ci somiglia e di cui abbiamo parlato finora, ma anche per tutti i popoli colonizzati dal Portogallo: Mozambico, Angola, Guinea, Capo Verde, Timor, São Tomé e Principe, che da tanto tempo combattevano per la propria indipendenza e libertà.
Così, il 25 aprile 1974, si sfaldava l’ultimo grande impero coloniale. A decretarne la fine, e a mettere in atto l’ultima rivoluzione romantica, furono diverse centinaia di ufficiali portoghesi, solidali con i loro soldati ormai restii a servire la patria in guerre coloniali crudeli, ingiuste e disperatamente insensate. Il Movimento das Forças Armadas (MFA), fondato clandestinamente, trovò guide autorevoli nei Generali Costa Gomes e António de Spinola e nel tenente colonnello Otelo Saraiva de Carvalho, e fu sostenuto da migliaia di soldati e dalla popolazione. Fu detta la Rivoluzione dei Garofani, perché i soldati vittoriosi avevano messo fiori di garofano nelle canne dei fucili. Oggi il garofano è in Portogallo simbolo nazionale di libertà e di democrazia.
Nella vicina Spagna il governo franchista si tenne fuori dagli eventi portoghesi, pur temendo le risonanze, a Madrid come a Bilbao o Barcellona, di una rivoluzione radicale dall’altro capo della Penisola Iberica. Ma anche la dittatura spagnola, nell’aprile 1974, nonostante l’ostentata ferocia, era ormai una seggiola abbondantemente tarlata, su cui è meglio non sedersi perché destinata presto a stroncarsi. Alla morte di Franco, nel novembre 1975, il sovrano Juan Carlos di Borbone, erede di Franco alla guida del Paese, poté riportare l’ordine democratico nella cornice di una monarchia parlamentare: la nuova Costituzione democratica fu approvata dal popolo spagnolo con un referendum il 6 dicembre 1978. Le dittature di destra che, fino alla metà degli anni ’70, opprimevano popoli a noi tanto corrispondenti e vicini, come Portoghesi, Greci e Spagnoli, non torneranno. Il 25 aprile 1974 in questa parte di mondo la libertà si è messa in cammino.
Livio Ghelli